Intervista su Chitarre
1) Tu nasci come pianista. Che tipo di formazione hai avuto
sul piano, e che ruolo ha avuto questa formazione nella tua musica
successiva?
Uno strumento come il piano, anche se imparato a livello rudimentale
una quarantina di anni fa (!), ti apre la mente, specie nel modo
in cui mi fu insegnato da un vecchio ma importante maestro. Non
l’ho imparato leggendo gli spartiti, e se da un lato il fatto
mi crea qualche difficoltà, dall’altro mi ha costretto a far di
necessità virtù aprendomi gli spazi dell’improvvisazione e dell’inventiva
slegata dagli schemi del “già scritto”. Ho continuato a suonarlo,
e mi torna utile adesso, nella generazione del MIDI e dei computer.
2) I tuoi ‘archeodischi’, come li chiami, Zio Pato del 1988
e Alberto Grollo Group del 1990, ti mostrano nella veste di cantautore,
nella quale hai partecipato alla “Rassegna della canzone d’autore
di Sanremo”. Puoi raccontarci di quel periodo e di come tu abbia
deciso di passare alla musica strumentale?
E chi se ne ricorda, è passato così tanto tempo…. No, ricordo
questo periodo con un pizzico di nostalgia e non solo perché eravamo
tutti più giovani. Alla Rassegna di San Remo sono stato qualche
anno prima dei due dischi in questione con un cantautore del giro
di RobertoVecchioni, che si chiama Massimo Marzi, e ricordo specie
le esibizioni di un Branduardi che nonostante certe contestazioni
degli autonomi fece un’indimenticabile concerto, accompagnato
da Maurizio Fabrizio e da un gran gruppo. Anche un Roberto Benigni
ai primordi ci fece capire cosa voleva dire satira politica. I
miei due dischi, ancora in versione ellepi, sono stati una tappa
fondamentale anche se ben presto chiusa per scarsa propensione
all’ endecasillabo: hanno coinciso con una serie di bei concerti
in tutt’Italia con un gruppo tosto, con cui suonavo un rock energico.
Il passaggio, anzi il ritorno alla musica strumentale, nasce proprio
dalla necessità di rivolgere il mio interesse solo sulla chitarra
come già avevo fatto negli anni settanta, periodo in cui tentai
un’avventura con l’etichetta storica milanese Divergo, nella quale
lavorava come tecnico audio un certo Riccardo Zappa…
3) Il tuo primo album di musica strumentale, Planetarium del
1995, è intimamente legato a tue ricerche mediche sul rilassamento
in odontoiatria, condotte in collaborazione con l’Ospedale di
Montebelluna. Ci puoi dire qualcosa di più su questa tua dimensione
di ricerca?
Il mio essere medico, oltre che musicista, mi spinge da sempre
a sperimentare l’applicazione della musica alla Medicina. Non
è certo una novità che la musica, agendo su alcune aree cerebrali
e stimolando la produzione corporea di determinati ormoni, influenzi
il nostro stato psicologico-emozionale. Fin dall’antichità ci
sono testimonianze, spesso anche particolarmente pittoresche,
dell’applicazione di melodie su determinati stati morbosi. E comunque
nel momento in cui ognuno di noi si distende sul divano ad ascoltare
Pat Metheny o si spara Eminem sull’ipod fa la sua personalissima
musicoterapia, cioè molto semplicemente cerca di dimenticare per
qualche momento i suoi problemi quotidiani e cerca di stare bene.
Abbiamo però cercato di andare oltre: insieme a risposte psicologiche
abbiamo testato parametri fisiologici, cioè pressione sanguigna
massima e minima e frequenze cardiaca e respiratoria. I risultati
sono stati, per quanto prevedibili, molto interessanti: una determinata
musica, con requisiti tali da indurre uno stato di rilassamento
e di buon umore ( meglio non l’heavy metal ) è riuscita ad abbassare
significativamente tali parametri. Chi volesse approfondire l’argomento
può visitare il mio sito www.albertogrollo.com e cliccare su “Music
in medicine”.
4) I tuoi successivi Fragments Of Light e Legacies sono notati
in particolare dallo storico giornalista musicale Sergio D’Alesio
e votati come “miglior disco di new age italiana” dalla rivista
Suono. Come si sviluppa questa affinità con D’Alesio, nel segno
del filo che collega la musica west coast alla new age?
Ricordo Sergio come uno dei più significativi ed invidiati giornalisti
musicali italiani, che fin dai tempi del mitico Ciao 2001, passando
per Super Sound e diverse biografie (da CSNY a Jackson Browne),
fino agli attuali Suono e New Age & New Sounds, ci ha spiegato
la musica moderna. L’occasione di conoscerlo è stata una dozzina
di anni fa presso la casa discografica per cui lavoravo, ed il
nostro feeling è nato immediatamente durante intere nottate a
parlare della nostra musica. Concordiamo che il termine New Age
in quanto corrente musicale non può più esistere e certa critica
non può sotto questa definizione inserire stili eterogenei e diversissimi.
Per troppo tempo tutta la musica strumentale che non fosse classica
o jazz è stata catalogata come New Age, dal minimalismo alla healing
music, da certa fusion un po’ zuccherata a musiche da film nate
solo per commentare immagini. I miei due dischi in questione mi
hanno dato belle soddisfazioni, sono stati usati in molte circostanze,
dal programma della Rai Overland all’ Alitalia, da sonorizzazioni
di documentari all’inserimento in diverse compilations e tuttora
ritengo Fragments of light il mio disco più riuscito.
5) In seguito Acoustic World arriva in cima alle classifiche
di vendita della new age italiana. Cosa ci puoi dire di questo
circuito della new age italiana?
Che non esiste più: dieci-quindici anni fa circa c’era un bel
giro di riviste specializzate, concerti, la gente si sentiva coinvolta
in un qualcosa che al di là della musica era una vera e proprio
filosofia fondata sull’ecologia, la fuga dall’alienazione delle
città, la ricerca interiore di pace e fratellanza. una specie
movimento di figli dei fiori degli anni novanta… In Italia (come
nel resto del mondo) non è più pensabile, parlando di New Age,
citare indiscriminatamente Vincenzo Zitello, Ludovico Einaudi,
Riccardo Zappa. Ovviamente ognuno di loro ha il suo stile e a
questi livelli di eccellenza sarebbe riduttivo ed offensivo omologare
le loro grandi personalità ad uno stile che forse non è mai esistito.
6) Questi tuoi lavori non rientrano tanto in una dimensione
di musica per chitarra sola fingerstyle. I tuoi spunti compositivi
sulla chitarra, armonici e melodici, diventano la base per un
intenso lavoro di produzione in studio, che vede la collaborazione
di numerosi musicisti e un uso diffuso dell’elettronica. Come
realizzi i tuoi dischi?
Finalmente da qualche anno non faccio fuori gli stipendi negli
studi di registrazione…. Ormai le possibilità di home recording
studio sono ben definite e a disposizione di quasi tutte le tasche.
Posseggo un Mac, una Digi 002 con Protools 7 e qualche expander.
A questo punto mi torna utile la mia giurassica preparazione pianistica
e devo dire che mi piace molto arrangiare i miei pezzi: penso
che non farò mai un disco di sola chitarra, perché se non diverte
me come posso pretendere che piaccia ad un pubblico? Non amo i
dischi di sola chitarra neanche se fati dai grandi, mi è capitato
spesso entusiasmarmi ad un concerto, comprare il disco e rimanerne
deluso. Quante volte è successo, un po’ a tutti? Mi piace immensamente
fare le cose a casa, scambiarmi i files registrati con gli amici
che da sempre lavorano, anzi giocano con me, poi invitare il contrabbassista
o la cantante a casa mia e registrare, tassativamente dopo un
buon prosecco di Conegliano…. Ovvio che la masterizzazione necessita
di una situazione più professionale, allora vado un studio, ma
per restarci poche ore!
7) Tra i tuoi collaboratori si contano molti altri chitarristi
di diverso genere: in particolare Riccardo Zappa e Pietro Nobile,
poi Werner Bauhofer, Gianluca Mosole, Claudio Rudella, Massimo
Zemolin, Simone Chilivò. Cosa ci dici di queste aperture chitarristiche?
Non li definirei collaboratori, sono tutti amici che si sono sempre
volentieri prestati prima a bere il buon prosecco e poi a mettere
su hard disk l’effetto delle bollicine… tutte persone squisite,
disposte a mettere in pratica un crossover musicale che mi ha
sempre stimolato moltissimo; non a caso hai citato alcuni fra
i massimi esponenti di country, fusion, heavy, jazz, rock-blues.
Come può non beneficiarne la mia musica? Fra gli amici con cui
ho spesso rapporti vorrei citare comunque anche Beppe Gambetta,
Franco Morone e Gabriele Posenato di cui apprezzo lo stile chitarristico
molto strano e sofisticato.
8) Una parte della tua discografia è realizzata in coppia con
il tastierista e pittore Capitanata, secondo una direzione che
amplia la ricerca sul rilassamento e sulla terapia musicale con
approfondimenti legati a discipline orientali. Ce ne puoi parlare?
Come potrei non parlare del mio grande amico Capitanata? Da anni
facciamo dischi assieme, partendo da una piccola casa discografica
di Mestre fino ad arrivare all’attuale rapporto che abbiamo con
l’olandese Oreade, che ci distribuisce in tutto il mondo. Insieme
abbiamo viaggiato e studiato, abbiamo cercato una strada di interiorizzazione
e approfondimento. Non è facile entrare nei meandri delle discipline
orientali, dove una cultura così distante dalla nostra crea situazioni
e concetti spesso per noi realmente incomprensibili. Siamo andati
a scuola di Reiki, abbiamo cercato di capirne gli aspetti più
significativi per fare delle musiche che potessero aiutare realmente
queste terapie. Il nostro metodo di lavoro è molto libero e senza
schemi prefissati, molto dipende dal momento di ricerca di luoghi
e situazioni, dal poter catturare insieme ai suoni della Natura
le nostre ispirazioni sulla tastiera per Capitanata e ovviamente
la chitarra per me. La preproduzione in genere viene fatta quindi
sotto un tiglio o nei pressi di una chiesetta sconsacrata con
panorama mozzafiato nelle zone dove Capitanata vive. Un altro
capitolo che in questo caso ho maturato da solo è quello dei Chakra,
pieno di fascino. Secondo questa disciplina il nostro corpo ha
sette punti energetici che se in equilibrio mantengono l’organismo
sano, quindi dallo squilibrio di uno o più di questi nasce la
malattia. Sette punti, sette colori, pietre, note, strumenti,
ritmi terapeutici, dal più basso e primordiale a livello delle
gonadi e rivolto verso i piedi al più alto e nobile, che corrisponde
alla nuca ed è rivolto verso il cielo. Il problema più grosso
era tenere la nota terapeutica corrispondente ad un determinato
punto (do per il primo eccetera) per ben 6 minuti senza… fracassare
le gonadi dell’ascoltatore. Penso, spero di esserci riuscito con
ritmi sempre diversi, tribali per il primo, usando il battito
del cuore per il quarto ( punto del cuore appunto) fino a quelli
più eterei e praticamente aritmici per il settimo. Sono molto
orgoglioso di aver fatto questo album, che diversamente da tutti
gli altri miei ha avuto un lungo periodo di stesura, arrangiamento
e registrazione.
9) In un ambito di terapia musicale e di new age, non si può
non aspettarsi un uso ampio di accordature aperte e alternative.
Infatti hai finito per realizzare anche il video didattico Introduzione
alle accordature aperte, dove tra l’altro viene fuori con più
evidenza la tua dimensione di chitarrista fingerstyle. Come sei
arrivato a questa esperienza?
Grande intanto la distinzione fra accordature aperte, tipo open
D, G, C, ed alternative, dove lo “scordare” non porta ad un accordo
definito, ma ad una sequenza semplicemente diversa da quella tradizionale.
Non posso non ricordare che uno dei primissimi input sulle accordature
alternative l’ho avuto da una tablatura degli anni settanta su
Ciao 2001, firmata da un certo Andrea Carpi…. Se non ricordo male
era Don’t let it bring you down di Neil Young. Troppo bello suonare
con accordature alternative, ti costruisci l’accordo un po’ alla
volta, trovi dissonanze che non si sa come, ma ci stanno, vai
con delle sequenze che mai ti sarebbero permesse con la tradizionale.
Nei concerti e nella didattica mi piace scordare ( possibilmente
non dimenticare ) la chitarra con un metodo che mi piace definire
“ a cascata “, dove un po’ alla volta, corda per corda dal dropped
D (DADGBE) arrivo al D minor (DADFAD). Uso poi alcune variazioni
sulle open G e D, e molto altro, tipo…………………………. Il contatto con
il mitico Enzo Barra, manager della Playgame music che produce
i video didattici, me lo ha dato l’amico Gae Manfredini, quindi
con Enzo abbiamo capito che era ora che qualcuno parlasse di questo
meraviglioso mondo.
10) In questo video emerge in particolare l’accordatura EGDGBD,
che sembra essere una tua peculiarità. Come l’hai sviluppata?
La mia amata EGDGBD, che non è altro che un SOL aperto con la
sesta corda che rimane MI, nasce dal fatto che con questa accordatura
vai bene a fare gli accordi maggiori ma i minori sono più problematici:
in un pezzo in sol trovi spesso il MI minore che con la mia accordatura
risulta molto più immediato. Uso il EGDGBD da molti anni e per
tanto tempo è stata la mia vera accordatura standard. 11) Qui
a Conegliano hai presentato il tuo nuovo disco Organolettico,
realizzato con Simone Chilivò, un lavoro che direi in linea con
i tuoi dischi precedenti. Quali sono le tue attuali e prossime
prospettive?
Simone è un grande chitarrista ed un ottimo produttore. Nonostante
abiti a Milano, quindi un po’ distante da me, devo dire che grazie
ala sua consueta disponibilità e alle sue capacità tecniche abbiamo
bypassato molti problemi logistici e ne è venuto fuori un disco
che a me piace moltissimo. Essendo dedicato ai vini d’Italia è
un album scanzonato, frizzante, un rock acustico che ci siamo
divertiti a produrre. Dal punto di vista delle produzioni discografiche
penso che entro l’anno usciranno due dischi, il primo dei quali
nasce da un vecchio progetto con il tastierista Piero Brovazzo
e riguarda il mio mio amore per la musica celtica. Brani nostri
alternati a qualche traditional in una rilettura non “da spartito”
ma con venature di rock ed elettronica.
12) Un’ultima parola sull’organizzazione del Guitar International
Rendez-Vous: che bilancio ti sei fatto dell’iniziativa e quali
sono i tuoi progetti al riguardo per il futuro?
Bella esperienza, indimenticabili la collocazione nell’antico
convento di san Francesco, le giornate di sola chitarra con seminari,
concerti, esposizione di liuteria sopraffina, il contatto con
Franco Cerri, Allan Taylor, Ed Gerhard e molti altri mostri della
chitarra. Spero di poter ripetere l’esperienza con Fabio Sforza
e Marino Vignali, presidente dell’ADGPA. Per il mio futuro invece
vedo una partecipazione ad alcuni importanti festival, tipo la
convention della CAAS di Nashville (USA) in luglio, il Folkest
sempre in luglio ed il festival internazionale di Issoudun in
Francia verso i primi di novembre.